“Non è affatto come pensate, non esiste un dolore meraviglioso. Ma quando la vita cimette a duraprova, dobbiamo forse arrenderci? E se decidiamo di lottare quali armi abbiamo a disposizione?” (Cyrulnik B., 2000).
La storia è piena di racconti di eventi drammatici, traumatici rispetto ai quali le persone sono riuscite a resistere, elaborare, trasformare e integrare nella propria esistenza.
Questa capacità è quella che chiamiamo resilienza. Quando si parla di resilienza ci si riferisce alla capacità di far fronte all’esposizione di fattori di rischio, di stress o traumi. Possiamo dire che la resilienza è la capacità di affrontare situazioni dolorose e superare traumi, una sorta di capacità di riorganizzare in positivo la propria vita.
Il termine resilienza è tipico della fisica e indica la caratteristica di un materiale di resistere a urti e sollecitazioni e di riprendere la sua naturale posizione o forma. Deriva dal latino, dal verdo resilio (da re e salio) che significa rimbalzare. Da gli anni ‘70 circa il termine resilienza è stato utilizzato anche nelle scienze umane e sociali.
L´obbiettivo di questo articolo non é solo quello di diffondere il concetto di resilienza ma anche cominciare a riconoscere il fatto che ogni persona possiede questa capacità e da ognuna dipende il suo sviluppo. In quest’ottica, la persona ha un ruolo attivo nel processo di sviluppo di tale capacità.
La possibilità che noi tutti abbiamo di trasformare un evento doloroso (un incidente, un lutto, una guerra, una calamità naturale) in un processo di cambiamento in cui riusciamo a integrare il positivo e il negativo, la sofferenza con la gioia, è ciò che permette da secoli all’umanità di riorganizzarsi di fronte alle tragedie e ai traumi (basta pensare alla Seconda Guerra Mondiale). La resilienza permette alle persone di trasformare l’evento traumatico in una fonte di apprendimento e crescita per vivere meglio il presente e guardare al futuro.
La possibilità di continuare il processo di sviluppo dopo un evento traumatico, sovverte la una prospettiva lineare (causa-effetto) nel modo di guardare ai problemi introducendo un’ottica di sistema: se un elemento del sistema si rompe in seguito a un trauma, è il sistema stesso che si riorganizza e ritrova un nuovo equilibrio.
La resilienza porta a non osservare le persone solo rispetto al problema che portano ma pone una luce sulle risorse e potenzialità. Questo modo di vedere le persone e i loro problemi comporta un cambio di visione anche per chi se ne occupa, per chi ha un ruolo di presa in carico del benessere.
Il concetto di resilienza quindi stravolge la modalità con cui si possono guardare le persone in difficoltà: non più persone alle quali regalare parole di conforto ma esseri capaci di reagire perché le risorse, le potenzialità sono dentro di loro. Hanno solo bisogno di qualcuno e/o di un sistema che gli permetta di riconoscerle e creare un contesto in cui esprimerle. Pensiamo, per esempio, alla psicoterapia.
Lavorare in terapia in ottica resiliente significa aiutare le persone a sfruttare le proprie risorse personali ma anche quelle del contesto, relazionale e sociale, che si trova a vivere quotidianamente. L’ottica non è rivolta al passato ma al presente e diretta a un obiettivo chiaro, definito. Questo non significa che non interessi la sua storia ma questa si fa racconto delle capacità delle persone, aiuta a incorniciare la problematica e l’evento traumatico che ha scatenato il tutto. Le persone sono portatrici di bagagli straordinari nei quali si trovano problematiche ed emozioni negative ma anche risorse, capacità e competenze. Nello spazio terapeutico le persone hanno la possibilità di fermarsi, dedicarsi tempo, intraprendere una relazione (quella terapeutica) significativa e concedersi la possibilità di intraprendere un cammino, un viaggio alla scoperta di loro stessi e delle proprie doti che spesso ignorano di avere. Questo viaggio non è semplice, è impervio e pieno di ostacoli ma la persona che scopre la propria resilienza sa andare oltre, scoprire nuove vie, inventarsi mezzi attraverso i quali può proseguire il proprio cammino fino al raggiungimento del proprio obiettivo.
“Offrire la possibilità alla persona che ha vissuto un dolore, un trauma, di raccontare e raccontarsi l’evento gli permette di storicizzarlo nella propria biografia e non lasciare che l’evento stesso agisca in silenzio determinando il suo destino. È importante che questa rivisitazione della ferita interiore avvenga “sotto lo sguardo dell’altro” che comprende e aiuta a guardare in faccia l’accaduto; ciò è è trampolino fondamentale per la resilienza. Per una «seconda nascita». Da brutto anatroccolo a cigno, pur se fragile” (Cyrulnik B., 2002).
Le persone resilienti vivono il presente in modo consapevole non rimandando a un futuro, nell’illusione che la vita sia eterna, nella falsa percezione di avere tempo per fare ciò che piace e fa stare bene. Questo continuo rimandare porta a vivere parzialmente sé stessi, le occasioni che si presentano nella vita e suscita emozioni negative.
Il giusto equilibrio è quello tra emozioni negative e positive; la resilienza permette a ognuno di noi di mettersi in gioco, sfruttare le proprie risorse e tentare senza ritirarsi perché non si ha fiducia o paura.
In conclusione vorrei proporre una splendida metafora per chiarire il concetto di resilienza, ripresa da Cyrulnik (2000): la resilienza “è l’arte di navigare sui torrenti. Un trauma sconvolge il soggetto trascinandolo in una direzione che non avrebbe seguito. Ma una volta risucchiato dai gorghi del torrente che lo portano verso una cascata, il soggetto resiliente deve ricorrere alle risorse interne impresse nella sua memoria, deve lottare contro le rapide che lo sballottano incessantemente. A un certo punto, potrà trovare una mano tesa che gli offrirà una risorsa esterna, una relazione affettiva, un’istituzione sociale o culturale che gli permetteranno di salvarsi (…) Essere resilienti è più che resistere, significa anche imparare a vivere. Purtroppo, costa caro”. Quando la ferita è aperta, siamo orientati al rifiuto. Per tornare a vivere, non dobbiamo pensare troppo alla ferita. “Con il distacco dato dal tempo, l’emozione provocata dal trauma tende a spegnersi lentamente lasciando nei ricordi soltanto la rappresentazione del trauma.”
Bibliografia
Malaguti, E. (2005). Educarsi alla resilienza: come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi. Trento: Erickson.
Consuelo, C. C. (2011). La forza della vulnerabilità. Milano: Franco Angeli.
Cyrulnik, B. (2002). I brutti anatroccoli. Le paure che ci aiutano a crescere. Milano: Frassinelli.
Cyrulnik B. (1999). Il dolore meraviglioso. Trad. it. Frassinelli, 2000.
Malaguti, E., & Cyrulnik, B. (2005). Costruire la resilienza. La riorganizzazione positiva della vita e la creazione di legami significativi. Trento: Erickson.